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Pensioni: perché è importante pensarci prima

Pensioni: perché è importante pensarci prima

Calcoli, errori da evitare e passi da pianificare per arrivare pronti alla pensione, con una somma mensile il più possibile vicina al reddito attuale. Scopri la Guida scritta da Rame.

Immaginare il futuro per costruirlo con consapevolezza

Hai mai pensato a come sarà la tua vita quando smetterai di lavorare? La nostra mente non ha familiarità con gli obiettivi a lungo termine. Più ci allontaniamo dal qui e ora, dal presente, più tutto diventa indistinto, vago e nebuloso.

Immaginarci da qui a 20-30, persino 40 anni è complicato, programmare risparmi e obiettivi finanziari può esserlo ancora di più. Non va dimenticato, però, che questo passo è fondamentale per assicurarsi una vecchiaia serena. 

La pensione, che si abbiano 30 o 50 anni dovrebbe essere oggi tra le priorità di ogni lavoratore e lavoratrice, per una serie di ragioni.

Come prima cosa, va detto l’agognato vitalizio non si costruisce negli ultimi anni di carriera, ma si compone pian piano lungo tutto il percorso lavorativo, sin dai primi anni. E se non ci si organizza per tempo, il rischio è di ritrovarsi con le risorse dimezzate.

Insomma, prima ci si pensa, meglio ci si ritroverà al momento della pensione. 

Il sistema pensionistico: cosa è cambiato

I lavoratori di oggi si trovano in una situazione ben diversa rispetto a quella dei propri genitori. Un tempo il calcolo delle pensioni si basava sul metodo retributivo, riparametrando cioè le somme spettanti alle retribuzioni percepite a fine carriera. Semplificando al massimo, ai lavoratori veniva garantito al momento dell’uscita un assegno pari a circa l’80% dell’ultima retribuzione.

Oggi, chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996, riceverà invece un assegno calcolato sul metodo contributivo: l’importo finale dipenderà da quanto si è versato durante la vita lavorativa, un aspetto che penalizza non solo chi ha iniziato a lavorare più tardi, ma anche chi ha avuto carriere altalenanti o discontinue. 

Il rischio maggiore? Essere donna

Sono le donne, soprattutto le più giovani, a pagare il prezzo più alto nel nuovo sistema pensionistico.

Già oggi, dai dati Inps, risulta che le pensionate percepiscono in media assegni del 29% più bassi rispetto agli uomini. Una donna che oggi ha 30 anni potrà congedarsi probabilmente verso 70, per via dell’allungamento dell’età pensionabile, e sulla base delle proiezioni, gli importi mensili percepiti dall’Inps saranno pari a circa il 50-56% degli stipendi attuali.

Il dato non tiene conto delle interruzioni di carriera che talvolta subiscono le lavoratrici, spesso impegnate nell’assistenza di figli piccoli prima, genitori anziani poi, cura della casa, situazioni che le portano a chiedere con maggiore frequenza aspettative non pagate, part time o a rinunciare al lavoro e restare inattive per lunghi periodi.

Infine, le donne vivono in media più a lungo rispetto agli uomini, per cui, anche a parità di versamenti, il calcolo della pensione viene effettuato considerando un periodo più lungo.

Secondo uno studio del Consiglio Nazionale dei Giovani con Eures, chi ha meno di 35 anni oggi rischia di lavorare fino a 74 anni per ottenere una pensione di appena 1.000 euro al mese. E nel caso di donne che, come abbiamo visto, potrebbero avere carriere più frammentate e stipendi mediamente inferiori, la cifra potrebbe essere ancora più bassa.
 

La pensione tanto attesa non si costruisce negli ultimi anni di carriera, ma si compone pian piano lungo tutto il percorso lavorativo.

Quanti soldi serviranno dopo la pensione?

Stando alle stime degli esperti, per mantenere lo stesso tenore di vita durante la terza età, dovremmo poter contare su una somma mensile pari almeno al 70-80% dell’ultimo stipendio: quasi un miraggio per coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996. Almeno un 20% di quanto occorre dovrebbe quindi arrivare da altri fonti.

Per capire con maggior precisione quanto serve, però, possiamo farci un’idea di quale potrebbe essere realmente la nostra pensione futura. Per farlo si può usare il simulatore della pensione dell’Inps.

Se invece siamo professionisti iscritti ad altre casse, possiamo provare a verificare se il nostro ente previdenziale ne ha uno. Non è una scienza esatta, ma aiuta sicuramente a vedere plasticamente quello che ci aspetta

Tenere i conti in ordine

Anche se siamo giovani, è fondamentale assicurarci di avere i conti previdenziali in ordine. È importante verificare, specie nei primi anni di carriera, quando si passa da un contratto all’altro, che tutti i contributi siano stati versati correttamente.

Per avere la mappatura completa servono pochi minuti e, anche in questo caso, può venirci in aiuto il sito dell’Inps o della nostra cassa di previdenza a cui sono stati versati versato i contributi. Entrando nell’area privata del sito dell’Inps o della cassa di previdenza possiamo scaricare l’estratto conto contributivo nel quale troveremo tutti i dati, e potremo verificare che i contributi versati siano corretti, controllando il numero di settimane o mesi registrati, e confrontando poi l’imponibile contributivo con le buste paga o le ricevute di versamento. 

Non è un lavoro semplice, ragione per cui può essere preferibile affidarsi a un consulente del lavoro o a un patronato. Nel caso in cui risultino discrepanze si può inoltrare una segnalazione scritta all’Inps o all’ente previdenziale, affinché quest'ultimo avvii le verifiche e, nel caso, invii una richiesta di pagamento al datore di lavoro inadempiente.

La procedura riguarda nello specifico i lavoratori dipendenti del settore privato iscritti alle gestioni Inps, ma ogni cassa previdenziale ha le sue regole. L’importante è che la segnalazione arrivi prima dei cinque anni, intervallo dopo il quale scatta la prescrizione. Trascorso il quinquennio, è comunque possibile riscattare quei periodi a proprie spese.

La previdenza integrativa: che strade scegliere

Cosa possiamo fare una volta scoperto che la nostra futura pensione andrà integrata in qualche modo?

La soluzione più naturale è certamente quella di pensare a un fondo pensione. Il fondo pensione è un’istituzione finanziaria che permette di versare nel corso della vita piccole somme mensili, così da ottenere a fine carriera un’integrazione alla propria pensione.

Le risorse accumulate potranno essere liquidate al momento del pensionamento, in un’unica soluzione o sotto forma di rendita vitalizia mensile, che andrà a integrare le somme ricevute dal proprio ente di previdenza.

I fondi sono di due tipi: 

  1. fondi pensione chiusi (o di categoria), istituiti all’interno della contrattazione tra le parti sociali, possono essere sottoscritti solo da lavoratori dipendenti di una determinata categoria professionale; 
  2. fondi pensione aperti, costituiti da banche o società di gestione del risparmio, imprese d’investimento e imprese di assicurazione  e sono aperti a chiunque. 

Ai fondi pensione si aggiungono i Pip (Piani Individuali Pensionistici), forme pensionistiche complementari che si realizzano attraverso contratti di assicurazione sulla vita, e a cui si aderisce su base individuale, indipendentemente dall’attività lavorativa. Funzionano in modo analogo ai fondi pensione: al momento del pensionamento i lavoratori possono scegliere tra una rendita mensile o la liquidazione del capitale fino a un massimo del 50% del montante accumulato. I lavoratori dipendenti del settore privato possono versare nel Pip anche il solo TFR.

È fondamentale assicurarsi di avere i conti previdenziali in ordine, verificando che tutti i contributi siano stati versati correttamente.

Piccole cifre, meno tasse: i vantaggi della previdenza complementare

Per aderire a un fondo pensione non servono grandi importi, è il tempo a dare valore aggiunto: versando mensilmente piccole somme, ma partendo in giovane età, si può arrivare ad accumulare cifre importanti a fine carriera.

È questo il motivo per cui si consiglia di aprire presto un fondo pensione. Il tempo fa da moltiplicatore della ricchezza: ogni anno gli eventuali interessi si aggiungono a quanto versato, facendo sì che i nuovi interessi vengano calcolati su importi sempre maggiori.

I lavoratori dipendenti potrebbero inoltre beneficiare di un doppio vantaggio: oltre a versare nel fondo il proprio Tfr, possono infatti decidere di aggiungere un contributo volontario. In questa eventualità, il datore di lavoro sarà tenuto a erogare a sua volta un’ulteriore quota nel fondo, a beneficio del lavoratore (la percentuale è stabilita nell’accordo collettivo o nel contratto aziendale).

Non dimentichiamo poi i vantaggi fiscali: i versamenti nei fondi pensione possono essere dedotti dal reddito fino a 5.164,57 euro all’anno, ad esclusione del Tfr. Cosa significa? Che al momento di presentare la dichiarazione dei redditi, le somme versate saranno sottratte dall’imponibile Irpef, il montante su cui vengono calcolate le imposte a nostro carico, riducendo di fatto il carico fiscale.

Come decidere quanto versare

Nell’orientarsi sulla contribuzione al fondo pensione è opportuno ricordare che la scelta dovrebbe essere guidata dall’età e dalle disponibilità economiche, considerando che il fondo pensione non impone importi minimi o massimi di versamento e che è sempre possibile interrompere o modificare la contribuzione nel corso del tempo.

Ovviamente bisognerebbe prendere in considerazione anche la linea di investimento scelta al momento della sottoscrizione: più è prudente, più i rendimenti saranno bassi.

Per questo tipo di scelta è fondamentale affidarsi a consulenti esperti che sono in grado di identificare la soluzione migliore tenendo conto della propensione al rischio del cliente, del suo orizzonte temporale e dello scenario.

La regola generale vuole che da giovani ci si può spingere verso prodotti azionari, tendenzialmente più redditizi, ma anche più soggetti alle oscillazioni del mercato e di conseguenza più rischiosi. L’orizzonte temporale lungo permette infatti di compensare eventuali perdite.

Al contrario, più sale l’età, più è consigliabile orientarsi verso prodotti bilanciati o obbligazionari. Il consiglio? Ogni fondo pensione ha il suo simulatore, che ci può aiutare a ipotizzare il rendimento atteso a seconda degli anni e della linea di investimento.

Imparare a risparmiare per obiettivi

In molti, a questo punto, potrebbero chiedersi come far convivere l’esigenza di accantonare qualcosa per la pensione, con quella di dover risparmiare per le esigenze quotidiane: l’auto, la vacanza, il frigorifero nuovo o il fondo di emergenza.

Per imparare a suddividere gli obiettivi e a non confonderli tra loro, gli esperti di finanza personale consigliano di utilizzare la strategia dei tre barattoli. Stabilita la capacità di risparmio mensile – e qui viene in aiuto il bilancio personale – possiamo frazionare la cifra in tre parti, dando a ciascuna una priorità.

Nel primo barattolo metteremo i risparmi per il fondo di emergenza, l’ombrello che ci mette al riparo dalle urgenze; nel secondo ci andranno gli obiettivi a breve e a medio termine, come la vacanza, oppure l’auto, o l’università dei figli; infine, nel terzo, quelli destinati alla pensione.

Non è necessario partire con grandi importi, l’importante è cominciare, la quota potrà essere modulata nel tempo. Un’idea da non sottovalutare può essere quella di destinare al terzo barattolo anche parte degli aumenti di stipendio o di scatti di carriera. Basta anche una percentuale non alta, per esempio un 30%. Se entriamo in quest’ottica, risparmiare diventerà pian piano un’azione naturale e automatica.

Versando mensilmente piccole somme nel fondo pensione e partendo in giovane età, si può arrivare ad accumulare cifre importanti a fine carriera.

Riscattare la laurea: sì o no?

Negli ultimi tempi si parla molto di riscatto della laurea, considerato da molti come uno strumento per avvicinare il momento della pensione. Bisogna però evitare un fraintendimento di fondo: il riscatto può essere utile per accorciare le attese, aumentando gli anni di contribuzione all’attivo, ma non comporta un aumento significativo dell’assegno di pensione

Dal 2019 esiste il cosiddetto riscatto agevolato, che ha un costo fisso di circa 5.000 euro per ogni anno di studio riscattato, indipendentemente dallo stipendio. Di positivo c’è che l’investimento economico, che non è da poco, può essere rateizzato fino a 10 anni senza interessi e gode di una deduzione fiscale sugli interi importi versati.

In realtà, anche se sembra una buona occasione, bisogna fare bene i conti, perché potrebbe rivelarsi una scelta controproducente. Chi ha svolto i suoi studi prima del 1995, per esempio, deve sapere che se sceglie il riscatto agevolato, il suo assegno pensionistico sarà calcolato per intero con il sistema contributivo, anche se ha iniziato a lavorare prima del 1996. In ogni caso, l’impatto del riscatto sull’ammontare della pensione potrebbe essere molto ridotto. Meglio ragionarci verso fine carriera, quando la situazione sarà più chiara, e rivolgerci a un consulente o a un patronato per le dovute simulazioni.

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