Inseguire un sogno, con i piedi per terra
Avviare l’attività che si sognava da tempo, trasformare una passione in lavoro, decidere in autonomia ritmi e orari: il lavoro autonomo rappresenta per molti una grande opportunità. Ma dietro il fascino della libertà si nascondono tante sfide e mettersi in proprio non è una scelta da prendere alla leggera. Servono consapevolezza, spirito di adattamento e una pianificazione meticolosa.
Vediamo, allora, gli aspetti da considerare prima di compiere il grande passo, dalla valutazione del business alla gestione dei flussi di cassa, dagli obblighi fiscali e previdenziali fino alle competenze personali richieste per affrontare il lavoro autonomo con successo.
Conoscere sé stessi
Il primo passo da compiere, troppo spesso dato per scontato, è valutare la propria motivazione. Lavorare in proprio non significa solo “fare quello che si ama”, ma assumersi dei rischi, affrontare l’incertezza e sviluppare un’elevata capacità organizzativa.
Prima ancora di iniziare a fare conti e calcoli, è consigliabile rispondere a una serie di domande che possono fare chiarezza sulle nostre intenzioni e sullo scenario in cui ci muoviamo. Il consiglio è di sedersi attorno a un tavolo, prendersi un po’ di tempo e chiedersi, innanzi tutto, se abbiamo un’idea chiara del progetto, cosa vogliamo fare, da cosa arriverà il nostro guadagno.
In secondo luogo, è importante capire qual è il nostro mercato di riferimento, i clienti a cui ci rivolgeremo, lo scenario in cui ci andremo a collocare e valutare se è pronto per il nostro progetto.
Terza questione, non meno importante: avremo il tempo e saremo disposti a gestire anche la parte amministrativa, fiscale e promozionale del lavoro? Questi aspetti possono richiedere, infatti, fino al 30% del tempo dedicato alla nostra attività.
Le soft skill del lavoratore autonomo
Questo passaggio ci porta direttamente alla seconda fase: individuare le competenze necessarie per lavorare in maniera completamente autonoma.
Nel momento in cui decidiamo di lavorare in autonomia, dobbiamo essere consapevoli che saranno necessarie competenze di cui prima non avevamo bisogno, abilità trasversali senza le quali la gestione delle attività può diventare molto complessa. Alcune possiamo allenarle, per altre possiamo farci aiutare, ma è prima fondamentale conoscerle.
La prima tra queste è saper gestire correttamente il tempo: organizzare le proprie giornate senza vincoli esterni può sembrare un vantaggio, ma richiede disciplina. Meglio dotarsi di un’agenda o, meglio ancora, di un software gestionale dove segnare le nostre attività e schedulare le giornate.
Ci servirà, col tempo, anche a comprendere quanto tempo dedichiamo ai singoli progetti, e se l’impegno è commisurato al compenso che chiediamo. Seguono le capacità comunicative: trovare clienti, gestire le relazioni, trattare sui prezzi, fare networking sono attività essenziali. Le abilità relazionali vanno coltivate e sviluppate, e se non sono nelle nostre corde, meglio mettersi alla ricerca di un partner che si occupi di questi aspetti per noi.
Anche l’autopromozione è un tassello fondamentale per sviluppare il proprio business, sia che si faccia il content editor, sia che si vendano oggetti artigianali. Saper raccontare il proprio lavoro, in un preventivo o vis-a-vis con i clienti, è spesso ciò che fa la differenza tra un’attività che cresce e una che fatica a decollare.
Infine, il problem solving. Che si tratti di un lavoro da rifare, di un cliente insoddisfatto, di un ritardo in una fornitura, in un'attività autonoma gli imprevisti sono all’ordine del giorno e questa dote è necessaria per non farsi travolgere dagli eventi e per affrontarlisenza la rete di protezione di un datore di lavoro. Anche la gestione del carico mentale è parte integrante del mestiere. I ritmi possono diventare frenetici, soprattutto quando si alternano fasi di sovraccarico a momenti di fermo.
Serve equilibrio e capacità di autoregolazione. Meglio chiederci con sincerità: siamo pronti ad affrontare tutto questo?
Il business plan
Siamo arrivati al passaggio successivo: l’analisi preliminare della sostenibilità economica dell’attività o, in altre parole, il business plan.
Se la nostra è un’attività poco complessa possiamo farlo in autonomia, magari scaricando uno dei modelli che sono sul web o, meglio, farci aiutare da un esperto. In ogni caso è necessario che il documento tracci una traiettoria e un punto di arrivo, con obiettivi minimi di fatturato, un’idea concreta delle spese fisse che sosterremo e di quelle variabili, delle entrate e dei costi personali e dove sia chiaro il punto di sostenibilità dell’impresa.
Il business plan deve essere in grado di rispondere a domande come, ad esempio: quanto intendo fatturare tra sei mesi? Come intendo arrivare a questo risultato? L’obiettivo prefissato mi consentirà di coprire le spese fisse e garantire la sostenibilità dell’impresa? Se nel primo anno di lavoro non avrò clienti fissi e il mio fatturato è incerto, ho una rete di salvataggio che mi consentirà di far fronte alle spese minime?
Il documento andrà rivisto periodicamente, perché il tiro andrà corretto più e più volte, ma è una mappa per orientarci nel mare della libera impresa.
Il salvagente per le emergenze
Redigendo il business plan ci saremo resi conto di una cosa: il lavoro autonomo comporta una certa dose di rischio.
Oltre al fatturato incerto, il lavoro autonomo prevede che ciascuno provveda da sé a imposte e previdenza, non contempla indennità di malattia (e nei casi in cui è prevista le tutele sono assai minori rispetto ai lavoratori dipendenti) né ferie o Tfr. Anche per queste ragioni, se si sta lasciando un impiego con contratto a tempo indeterminato, il consiglio è di procedere passo dopo passo.
Una volta presa la decisione non è necessario fare tutto in un colpo solo. Possiamo, per esempio, fare una prova chiedendo un’aspettativa non pagata, oppure chiedendo un part time e affiancando per un periodo l'attività autonoma a quella da dipendente, qualora la legge consenta questa possibilità. Indipendentemente da questo, la nostra prima preoccupazione dovrebbe essere quella di prevedere un salvagente, che sia il TFR (attenzione: il datore di lavoro potrebbe chiedere di versarlo in più rate dilazionate nel tempo), oppure una somma che abbiamo messo da parte.
È fondamentale preparare una zattera di salvataggio, nel caso in cui le cose non vadano come previsto. A questo proposito può essere utile sapere che sono previste alcune facilitazioni per chi, per esempio, viene licenziato. Chi accede alla Naspi e decide di aprire una Partita IVA può, infatti, chiedere all'Inps l'anticipo di tutte le rate di indennità. La misura è pensata come forma di “incentivo” a mettersi in proprio, anche se purtroppo vale solo per chi era iscritto all'Inps. In ogni caso, è bene informarsi con un commercialista sulle agevolazioni e incentivi previsti dai diversi enti previdenziali, per chi apre nuove attività
Partita IVA: istruzioni per l’uso
Aprire una Partita IVA è un passaggio obbligato per quasi tutti i lavoratori autonomi. Non si tratta solo di compilare un modulo da inviare all’Agenzia delle Entrate: è una decisione che comporta responsabilità e impegni precisi.
Gli step sono essenzialmente tre, il primo è l’individuazione del codice Ateco, la sigla che descrive la nostra attività e la rende identificabile per il Fisco. In secondo luogo, bisogna ragionare con un consulente sulla scelta del regime fiscale. Possiamo decidere se rientrare in quello ordinario, che prevede una tassazione progressiva, o nel regime forfettario. Il regime forfettario è spesso la scelta iniziale più conveniente per chi comincia, perché prevede un’imposta sostitutiva al 15% (ridotta al 5% per i primi 5 anni, se si rispettano certi requisiti), non contempla l’IVA e ha una contabilità semplificata. Ha però limiti di fatturato (attualmente si tratta di 85.000 euro annui) e restrizioni su collaborazioni e spese detraibili. Infine, non va dimenticato il terzo step, non meno importante, l’apertura di una posizione presso un ente previdenziale.
Come cambia la previdenza
Molti decidono di aprire un’attività dopo anni di esperienza come dipendenti. In questi casi, va detto che il passaggio alla libera professione o al lavoro autonomo implica importanti cambiamenti anche dal punto di vista previdenziale.
Intanto, è bene ricordare che le dimissioni richiedono sempre un preavviso ed è, quindi, essenziale stabilire delle tempistiche, a partire dall'invio della comunicazione, e verificare che il proprio contratto non preveda vincoli che non consentono di proseguire in autonomia la stessa attività che si svolgeva da dipendente.
Le dimissioni, poi, comportano la perdita della copertura contributiva, aspetto a cui, d’ora in avanti, dovremo pensare noi. Dovremo, insomma, iscriverci a una gestione previdenziale autonoma, che può essere la gestione separata Inps o della cassa professionale a cui facciamo capo. I contributi andranno versati regolarmente e, in alcuni casi, ci sono dei minimi obbligatori anche in assenza di fatturato, e per maturare un anno di anzianità contributiva è spesso prevista nelle diverse casse una soglia minima di versamenti annuali, anche se le regole variano da ente a ente.
Generalmente il contributo annuo da versare alla cassa viene calcolato in percentuale sul reddito, a seconda dell’ente previdenziale, e va versato con scadenze precise. In linea di massima, la gestione separata Inps prevede aliquote più alte rispetto a quelle delle altre casse previdenziali, anche private, ma questo aspetto, che può sembrare positivo, ha però anche un rovescio della medaglia: quando il carico è inferiore, al momento di andare in pensione ci si ritroverà con un montante più basso, e un assegno più magro.
Non dimentichiamo questo aspetto. Già dopo i primi anni sarà bene fare delle simulazioni e valutare eventualmente l'opzione di una pensione integrativa. È sempre consigliabile rivolgersi ad un consulente esperto che saprà suggerirci la soluzione più adatta a noi.
Tasse e contributi, quanto mettere da parte
Uno degli errori più frequenti di chi è alle prime armi è confondere incasso e guadagno. Purtroppo, ogni euro che entra nel bilancio di un libero professionista o di un lavoratore autonomo non è automaticamente disponibile da spendere in quantouna buona parte va accantonata per pagare imposte, contributi, e spese future. Una “regola” di buon senso vuole che si metta da parte almeno il 50% di ogni pagamento ricevuto, più l’eventuale IVA. La somma servirà a coprire imposte, anticipi e contributi.
Se vogliamo essere più precisi, possiamo calcolare la percentuale esatta, partendo dal nostro regime fiscale e previdenziale. Può essere utile avere una tabella con le seguenti voci:
- imposte: IRPEF o imposta sostitutiva, in base al regime fiscale scelto;
- IVA: se non sei in regime forfettario, va applicata e versata trimestralmente;
- contributi previdenziali: gestione Separata o altra cassa.
È buona prassi tenere un calendario aggiornato delle scadenze fiscali e accantonare mensilmente le cifre necessarie. Un suggerimento utile è usare un software gestionale o un foglio Excel per monitorare le entrate e simulare i versamenti da effettuare.
Di questi elementi e percentuali dovremmo tenere conto anche nel momento in cui predisponiamo preventivi e stabiliamo compensi.
Consigli utili per gestire i flussi di cassa: il conto separato
Per non trovarsi in difficoltà, è preferibile spostare fisicamente il denaro destinato a imposte e previdenza su un conto corrente o comunque su uno strumento separato. Si tratta di una strategia che aiuta a tenere i conti in ordine e ad avere l'esatta percezione delle risorse effettivamente a disposizione.
Inoltre, poiché le scadenze di tasse e previdenza sono fisse, è bene segnare man mano gli importi in agenda o nel software gestionale, perché siano sempre sott’occhio. In questo modo, anche nell'eventualità in cui ci sia un problema di liquidità, avremo la possibilità di cercare una soluzione per tempo. Le scadenze sono fisse e non rispettarle implica il pagamento delle sanzioni, ma il Fisco mette a disposizione una serie di strumenti, come il ravvedimento operoso, per chi desidera sanare le irregolarità in tempi brevi.
Sempre a proposito di tasse, un altro aspetto che troppo spesso viene sottovalutato nei primi due anni, ha a che fare con gli anticipi di imposta, A partire dal secondo anno, infatti, oltre al saldo delle imposte per l’anno precedente, il Fisco chiede un anticipo sulle imposte che andranno pagate per l’anno in corso, prendendo come assunto che gli incassi saranno in linea con quelli passati.
Questo comporta la necessità, soprattutto all’inizio, di avere in cassa quanto necessario per pagare l’anticipo su importi non ancora fatturati.
Fare i conti in anticipo, magari prevedendo di destinare al primo anticipo una parte del nostro fondo di emergenza, è un modo per garantire la sopravvivenza e la solidità del nostro progetto.
Strumenti digitali e supporto professionale
Essere freelance non significa fare tutto da soli. Oggi esistono numerosi strumenti che possono alleggerire il carico gestionale:
- software di fatturazione: aiutano a emettere fatture, monitorare le scadenze e calcolare l’Iva. Anche l’Agenzia delle Entrate mette a disposizione un software gratuito;
- gestionali di cassa: sono ottimi per tenere sotto controllo entrate e uscite;
- consulenti fiscali e previdenziali: sono un investimento spesso necessario per non commettere errori costosi.
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